Il dono della solitudine

Carissimi, questi giorni in cui siamo chiamati a stare a casa – e di riflesso lontani gli uni dagli altri, dalla comunità, dai sacramenti – sembrano fare emergere maggiormente ciò che ognuno ha dentro: ciò che sente il nostro cuore; ciò che attraversa la nostra mente; i nostri convincimenti, le riflessioni/strade/percorsi che orientano la nostra vita… Questi giorni sono cioè diventati, volenti o nolenti, il deserto in cui ci ritroviamo messi alla prova e da cui trarre, nell’ascolto di noi stessi, una conoscenza più profonda di quanto ci abita. Questo sembra essere un momento di particolare verità in cui, tra le altre cose, ci viene restituita la misura della nostra crescita. E questo dono – la misura della propria crescita / la conoscenza più profonda di sé – è di certo un valore incommensurabile, una grazia che viene dall’alto.

All’interno di questo dono, poi, siamo chiamati a discernere i punti di luce, di grazia, ma anche le ombre, le parzialità che ancora accompagnano le nostre vite. Di certo in questi giorni emerge, come non mai, la necessità della parola, della comunicazione, della prossimità, delle relazioni… ma anche tutta la nostra non-conoscenza/impreparazione/inadeguatezza a quanto fonda, nutre e rende fecondo tutto ciò: mossi dalle nostre angosce più ancestrali moltiplichiamo in modo compulsivo il nostro chiacchiericcio interiore ed esteriore (i media e i social ne registrano l’evidenza) e cerchiamo a tutti i costi di riempire le nostre giornata con mille e mille attività. Si potrebbe pensare: e cosa c’è di male in questo? Proverò a mostrarlo con un esempio paradossale ma credo immediato: è come se noi – singolarmente e come società/comunità – volessimo che fosse sempre giorno, perché la notte – tra l’inattività che chiede e le paure che evoca – non la riteniamo utile, anzi la temiamo e la evitiamo. Ora noi tutti sappiamo quanto sia proprio la notte (e la sua apparente inattività) a rendere bello, sereno, creativo e fruttuoso il giorno.

Tornando allora alla domanda di prima – “e cosa c’è di male in questo?” – risponderei: nulla… se ciò non rivelasse anche tutta la nostra difficoltà a stare nel silenzio (che poi fonderebbe e renderebbe feconda la parola), ad abitare il vuoto / la mancanza (grembo da cui rinascerebbero in noi nuovi e profondi desideri, nuova creatività, nuova vita), ad accogliere la solitudine come un dono (perché è la solitudine – non intesa chiaramente come isolamento ma come capacità di stare con e dentro di sé – a creare la comunità).

Sollecitato da questi pensieri ho sentito la paterna e fraterna necessità di condividerli con voi e di offrirvi anche qualche pagina per meditare durante la settimana. Nella fecondità della assenza, vi abbraccio e vi benedico nel suo Nome. don Alessandro

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PER LA MEDITAZIONE

La vocazione primaria della famiglia

La prima vocazione della famiglia, forse la più misteriosa, è offrire solitudine. La solitudine è il primo dono dell’uomo, della donna e dei bambini gli uni agli altri: «Non soffocate lo Spirito», dice Paolo. Nella solitudine In Spirito ci si rivela e diventa possibile «pregare senza interruzione e rallegrarsi in continuazione». Nella solitudine scopriamo lo spazio interiore dove la creatività trova le sue radici e dal quale sgorga la nostra reale vitalità…

Viviamo in un mondo dove ci si fa credere che siamo ciò che facciamo: siamo importanti se facciamo qualcosa d’importante; siamo intelligenti se facciamo qualcosa d’intelligente; abbiamo un valore se facciamo qualcosa di valore. Ci preoccupiamo quindi di avere qualcosa da fare, di essere occupati, e se non siamo occupati di solito siamo preoccupati, occupati cioè da una mente ansiosa. Ma quando viviamo come se fossimo ciò che facciamo, abbiamo venduto la nostra anima al mondo. Abbiamo permesso al mondo di decidere chi siamo. Siamo diventati in realtà persone solitarie, che si guardano sempre ansiosamente intorno e si chiedono che cosa gli altri pensano di loro: abbiamo sempre bisogno che gli altri ci considerino simpatici, intelligenti, degni di stima..

Il primo dono vicendevole dei membri di una famiglia è quindi il dono della solitudine, in cui ciascuno può scoprire il proprio vero io. Una famiglia costruita su un falso io, un io tenuto insieme da occupazioni e preoccupazioni, da giudizi e opinioni, è condannata al fallimento, Solo nella misura in cui i membri di una famiglia si permettono a vicenda di scoprire il loro vero io nella solitudine può esistere il vero amore. La famiglia è il luogo dove la solitudine bacia la solitudine, dove, come dice Rilke, «Le solitudini si salutano a vicenda»

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Solitudine e comunità

La solitudine non è privata, in contrapposizione al tempo passato insieme, e neppure un tempo per ristorare le nostre menti stanche. La solitudine è molto diversa da un tempo al di fuori della vita comunitaria; la solitudine è un terreno sul quale cresce la comunità. Quando preghiamo da soli, studiamo, leggiamo, scriviamo o semplicemente trascorriamo un’ora tranquilla lontano dai luoghi in cui interagiamo direttamente o indirettamente gli uni con gli altri, entriamo in una profonda comunità l’uno con l’altro. È un errore pensare che ci avviciniamo sempre di più all’altro soltanto quando parliamo, giochiamo o lavoriamo insieme. Certo, una crescita importante avviene in tali interazioni umane, ma queste interazioni traggono il loro frutto dalla solitudine, perché nella solitudine si approfondisce la nostra mutua intimità. Nella solitudine ci scopriamo l’un l’altro in un modo che la presenza fisica rende difficile, se non impossibile. Qui riconosciamo un legame vicendevole che non dipende da parole, gesti o azioni, un legame molto più profondo di quello che i nostri sforzi possono creare…

La solitudine è essenziale per la vita comunitaria, perché qui cominciamo a scoprire una unità che precede tutti i nostri sforzi di unificazione. Nella solitudine diventiamo consapevoli che siamo insieme prima di metterci insieme e che la vita comunitaria non è una creazione della nostra volontà, ma la risposta obbediente alla realtà del fatto che siamo uniti. Ogni volta che entriamo nella solitudine, rendiamo testimonianza a un amore che trascende le nostre comunicazioni interpersonali e proclama che ci amiamo l’un l’altro perché Qualcuno ci ha amati per primo (1 Gv 4,19)… La solitudine crea quella comunità libera che fa dire agli astanti: «Guardate come si amano».

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UNA PROPOSTA PER LA PREGHIERA

Con le parole del Salmo 23 celebriamo il Signore nostro tutto, nostro unico necessario.

SALMO 23

Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
2 Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
3 Rinfranca l’anima mia,
mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
4 Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.
5 Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.
6 Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.

PREGHIERA CONCLUSIVA

Signore Gesù Cristo, le parole che hai rivolto al Padre tuo sono nate dal silenzio. Conducimi in quel silenzio, affinché le mie parole possano essere dette nel tuo nome e, così, possano essere feconde. È talmente difficile rimanere in silenzio, in silenzio con la bocca, ma ancora di più in silenzio col cuore. Vi è tanto dire che preme dentro di me. Sembra che io sia sempre impegnato in discussioni interiori con me stesso, con i miei amici, con i miei nemici, con i miei sostenitori, i miei oppositori, i miei colleghi, i miei rivali. Ma questo dibattito interiore rivela quanto il mio cuore sia lontano da te. Se io riposassi semplicemente ai tuoi piedi e mi rendessi conto che appartengo a te, cesserei facilmente di discutere con la gente reale e immaginaria intorno a me. Queste discussioni dimostrano la mia insicurezza, la mia paura, le mie apprensioni e il mio bisogno di essere riconosciuto e di ricevere attenzione. Tu, o Signore, mi darai tutta l’attenzione di cui ho bisogno quando semplicemente la smetterò di parlare e comincerò ad ascoltarti. So che nel silenzio del mio cuore tu mi parlerai e mi mostrerai il tuo amore. Dammi, o Signore, questo silenzio. Fa’ che io sia paziente e cresca lentamente in quel silenzio nel quale posso stare con te. Amen.